Nuvole di fango di Inge Schilperoord edito da Fazi Editore è una lettura straziante, dolorosa, che toglie ma allo stesso tempo dà. Ci rende empatici nei confronti del protagonista, Jonathan, con il quale affrontiamo per tutto il romanzo, il male che lo attanaglia.
Jonathan infatti è trentenne attratto dalle bambine che, dopo un periodo trascorso in carcere, ritorna a casa, da sua madre, una donna sola in un piccolo villaggio di pescatori, ormai quasi svuotato e desolato. Jonathan cerca un equilibrio, una stabilità che rimargini il suo grande senso di colpa e faccia di se stesso un uomo migliore e controllato.
“Tu fai dei pensieri ma non sei quei pensieri.”
Jonathan si considera un uomo buono, dedito agli altri, alla cura della madre e della casa, e quando conoscerà Elke, bambina sola e con una situazione difficile, subito in lui si presenterà l’istinto di proteggerla.
Jonathan è un uomo solo, lontano dagli altri con cui non vuole e non riesce ad instaurare un rapporto duraturo, una sorta di “meccanismo di difesa” il suo che lo porta ad isolarsi e a preferire di gran lunga la natura. Natura che insieme a lui, è protagonista di questa storia.
Quello che lo circonda cambia con lui, quella stessa natura è un rifugio ma anche un luogo soffocante, come il caldo che lo attanaglia ogni giorno, in ogni momento e sembra quasi lo voglia portare verso la follia.
La scrittura della Schilperoord, infatti, cresce e si modifica con il mutare delle sensazioni di Jonathan. Ci dona un senso di oppressione, di controllo, poi di smarrimento, in un incalzarsi del ritmo sempre più serrato. Le parole, la struttura delle frasi, brevi e concise, seguono la storia, seguono la mente del protagonista in ogni sua azione. Siamo costantemente con Jonathan, con la sua lotta interiore, con i suoi esercizi psicologici con i quali cerca di arginare i pensieri, le pulsioni.
Jonathan appare fin da subito profondamente distrutto per ciò che lo ha portato ad essere incarcerato e per questo segue una sorta di terapia fai da te che gli impone di svolgere degli esercizi di rilassamento e consapevolezza. Cerca di domarsi imponendosi controllo, un controllo così serrato che lo costringe a crearsi una tabella con orari e mansioni da eseguire con precisione. E l’autrice è sublime nel renderci quest’ossessione maniacale attraverso il linguaggio, la punteggiatura, gli spazi.
Jonathan cerca redenzione per quella parte di sé che non è lui, che non è ciò che lui si sente di essere, una parte quasi fuori da sé, così lontana da quello che è sempre stato. Redenzione e perfezione per un uomo che sa di sbagliare e per questo è trafitto da una lotta interiore dolorosa e costante.
Una volta tornato nella sua vecchia casa, Jonathan può occuparsi nuovamente di sua madre, una donna che ormai lascia trascorrere la sua vita tra un bicchiere di vino, la televisione e le carte, una donna che vede il tumulto di suo figlio e spera di poterlo aiutare con la preghiera, con Dio. Il rapporto tra i due ci appare conflittuale: entrambi sanno ma non lo affrontano, si chiudono in loro stessi, consapevoli della loro sofferenza personale, del loro vuoto. Sanno ma non ne parlano e tacitamente il loro accordo porta avanti una situazione stagnante, falsa, oppressiva e in perenne tensione. La madre non conosce il modo per avvicinarsi a suo figlio e suo figlio non sa come rompere quelle barriere per aprirsi a sua madre. Ho avuto a primo impatto, la sensazione di un affetto sincero ma basato su comportamenti recitati, falsati dalla sofferenza silenziosa e dalla rassegnazione. Un rapporto in cui Jonathan vuole dare molto ma di cui ne è anche infastidito, in quella che è la sua personalità duale, ciò che è e ciò che è fuori da sé.
E così il protagonista si rifugia assieme al suo cane, Milk, nella natura, dove incontrerà la tinca rossa posta sulla copertina del romanzo, quella tinca che per il caldo si nasconde sotto il fango, creando delle piccole nuvole. Nuvole di fango del pesce e di Jonathan che decide di prendersi cura dell’animale e di portarlo nel suo acquario. Un pesce con il quale si forma un invisibile cordone ombelicale, Jonathan si rivede in lui e se ne occupa come se si stesse occupando di se stesso e della sua stabilità. La tinca è lui che si nasconde e vorrebbe non emergere.
Proprio quegli animali che per lui sono così importanti, saranno il motivo della vicinanza di Elke, una bambina di nove, dieci anni, sola, bloccata in una situazione più grande di lei. Elke vedrà in Jonathan un’ancora di salvezza, qualcuno con cui parlare, con cui poter condividere i suoi problemi. Jonathan troverà in Elke un’altra possibilità di prendersi cura di qualcuno, perché lui sente il peso di dover rimediare, di dover dedicarsi al prossimo, di dover sviluppare un’empatia, una vicinanza. Ma Elke ovviamente sarà per lui anche moto interiore, tempesta. In un susseguirsi incalzante di attimi, pensieri, vedremo come pian piano Jonathan prenderà più consapevolezza di ciò che è e di quello che può fare.
Un libro non tanto denso di fatti narrativi quanto di riflessioni, struggimenti emotivi e psicologici, sofferenza e vortici di pensieri. Ci renderemo conto come sia difficile nascondere chi siamo, i nostri istinti, le nostre profonde pulsioni e quanto sia complicato distinguerci dall’essere quegli animali e trasformarci in uomini razionali.
Un romanzo d’esordio così sconvolgente da togliere il fiato ma così bello che è impossibile non amarlo. Assolutamente da leggere.
Ilaria Amoruso