Quando non esistono strade percorribili, se non quella già tracciata che vedi davanti a te, la situazione si fa pericolosa: o scegli di percorrerla, e in quel caso devi sottostare alle regole di quella strada, adeguarti ad esse senza fiatare; o devi semplicemente lasciare che le gambe vadano, pur non avendo un percorso alternativo da seguire, e in quel caso procedi allo sbaraglio, alla mercé di qualunque cosa.
È questa la situazione in cui si trova Amoresano, protagonista di uno dei romanzi italiani più convincenti che abbia letto in questo 2018: Napoli mon amour di Alessio Forgione, NN Editore.
Due lauree alle spalle, un lavoro sulle navi per diverso tempo e 30 anni che pesano sulle spalle come un macigno. Questo è l’equipaggiamento di Amoresano, tutto ciò che ha. Si aggira nelle strade di Napoli con difficoltà, incapace di apprezzarne la bellezza e la meraviglia. Davanti a sé vede solo il fallimento della sua vita, l’incapacità di realizzarsi professionalmente – ma quale realizzazione? basterebbe un lavoro qualunque, per risollevarlo dallo stato catatonico della sua esistenza.
Durante giornate che hanno tutte lo stesso aspetto, coltiva velleità letterarie scrivendo racconti ispirati al suo grande idolo, Raffaele La Capria, e al suo romanzo preferito: Ferito a morte. Ma tutto resta su un piano troppo astratto per risollevare il suo morale. D’altronde, sembra impossibile per un precario della sua generazione – della mia generazione! – convivere con questo mostro a tre teste che ti insegue continuamente.
Alessio Forgione, al suo esordio letterario, descrive una situazione che molti conoscono e in cui identificarsi riesce fin troppo semplice, ma pur percorrendo una strada battuta sia dal cinema che dalla letteratura in tutte le salse, non risulta mai banale. Disegna per Amoresano un percorso a tratti sorprendente, facendogli credere (e facendo credere anche a noi lettori) di essere sul punto della svolta tanto agognata, a tratti catastrofico (e non mi dilungherò a riguardo, perché sarebbe impietoso da parte mia svelarvi più del necessario).
E poi l’incontro, quello fatale, che sembra segnare il cambiamento: Lola, come si fa chiamare all’inizio, Nina, come gli permetterà di essere chiamata dopo, la donna cui Amoresano si aggrappa sin da subito, riversando su di lei le aspettative che aveva fino ad allora cercato nel mondo. Inizia così una nuova storia, che appassiona e che si fa seguire con una facilità sorprendente, per arrivare – di nuovo – al punto di non ritorno.
Il clima era mite e mi sentii spaventato dall’eventualità di ottenere il lavoro e di dovermi trasferire lontano da Nina, ma spaventato anche all’idea di non ottenerlo, considerato quanto mi era costata la trasferta. Poi pensai che io, al suo posto, più che spronarla ad andarsene in Inghilterra, avrei preferito tenerla vicina, povera e infelice ma vicina e analizzai che con me vicino, se m’amava davvero, anche se povera, non sarebbe stata mai del tutto infelice. Pensai che forse ero solo un egoista e me ne feci una ragione. Pensai anche che forse mi amava in quel modo moderno secondo cui ciascun membro della coppia deve essere felice e professionalmente realizzato, così da amare la propria vita, se stesso e poi, di conseguenza, l’altro. Provai una sorta di disgusto atroce all’idea che al mondo potessero esistere delle persone che credessero davvero in una cosa del genere, perché per me l’amore era stare insieme, sacrificio, costi quel che costi, al netto e al di là delle proprie possibilità.
Tra contaminazioni letterarie e cinematografiche piuttosto evidenti, come l’intera scena dedicata a Hiroshima Mon Amour di Alain Resnais, Forgione arriva proprio dove era destino che arrivasse: una conclusione che lascia col fiato sospeso, anche se il lato più pessimista del lettore doveva pur averla considerata, a essere onesti.
E, girata l’ultima pagina, vien voglia di dare ad Amoresano l’ennesima possibilità di rivalsa nella vita, perché significherebbe concederla un po’ a te stesso, nella speranza che per una volta le cose vadano bene.
Giovanna Nappi