Il valore de La Storia è denotato ancor prima del suo contenuto. Elsa Morante, dopo aver impiegato circa tre anni – dal 1971 al 1973 – per scrivere il romanzo che spaccherà la critica, decide di pubblicarlo, come per la prima volta accadeva allora, direttamente in edizione economica, in brossura.
La Storia è pubblicato nella collana Gli Struzzi dall’editore Einaudi nel 1974. Le motivazioni che spingono l’autrice verso questa scelta si rinvengono nella volontà di portare in stampa un libro “popolare”. Che l’accezione abbia poi assunto connotazioni sempre più negative, al punto da portarci inconsciamente a giudicarla sinonimo di ignoranza ai nostri tempi, è un altro paio di maniche. Ma quando Elsa Morante giunge a questa decisione vuole dare in mano agli italiani una storia in cui identificarsi.
La sua Storia è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e negli anni ad essa successivi e vede al centro l’esile figura di Ida, indifesa e spaventata a volte dalla vita stessa.
Giungiamo a Ida prima attraverso la storia della sua famiglia, e veniamo a conoscenza delle problematiche – di salute, ma non solo – che avevano già interessato sua madre nel passato. Ed è a sua madre, ed alle sue origini ebree, che tutto torna. I primi provvedimenti nazisti che arrivano dall’alto sconvolgono sin da subito questa donna, rimasta sola dopo la morte di suo marito, dal quale ha avuto un unico figlio: Nino. Terrorizzata ad ogni passo dal rischio di essere scoperta dai nazisti per le sue origini non ariane, sarà sconvolta da un episodio, che leggiamo quasi in apertura di romanzo: una guardia tedesca, di stanza a Roma e in procinto di ripartire da lì a poche ore, preda dei suoi più bassi istinti, sorprende la povera Ida nell’atrio del palazzo in cui vive; la donna, convinta che sia giunto il momento e che siano in realtà venuti a prenderla per incriminarla e rinchiuderla, sommessa permette all’uomo di entrare in casa propria. Qui si consumerà l’atto sessuale, disumano come lo è ogni violenza, ma in grado di generare umanità. Da quell’unico episodio con un uomo che Ida non incontrerà mai più nascerà infatti un secondo figlio, Giuseppe, divenuto poi Useppe.
Accompagneremo Ida, Nino e Useppe negli anni più brutti per la storia dell’uomo, anni di privazioni, di fame, di morte, di campi di concentramento, di guerriglia, di resistenza. Ma lo faremo senza ricorrere ai grandi fatti ufficiali, di cui d’altronde Morante ci dà testimonianza in apertura di ogni capitolo/anno di narrazione: un elenco degli avvenimenti salienti, a livello nazionale e internazionale, corredano l’intero corpus del romanzo per dare memoria di ciò che effettivamente si verificò ai tempi, per lasciare poi spazio alle vicende di quei poveri cristi che aveva scelto di rendere eroi della sua Storia.
Se dovessimo indagare la natura di ognuno dei personaggi in cui ci imbattiamo all’interno del libro, il rischio sarebbe quello di dover mettere mano all’intero scibile umano: i sentimenti di coraggio, alternati a quelli malvagi che attraversano l’animo di uomini e donne di tutti i tempi, sono pane quotidiano per Elsa Morante. Dai gesti disperati cui ricorre per salvaguardare la vita dei propri figli, giudicheremmo Ida quasi una martire, una donna devota, incapace di fare del male a qualcuno. Ma neanche Ida è esente dalla paura e dalla fame: e se una donna è in pericolo, o sono in pericolo i suoi figli, nulla può fermarla.
Nino e Useppe rappresentano invece due poli opposti, eppure complementari. Il primo, “tagliato” alla vita di strada, dopo le prime incertezze giovanili opta per un ruolo attivo nella storia, probabilmente più per assecondare una spacconeria che guidato da un vero moto di rivalsa per il popolo oppresso. La sua vitalità in tutto il romanzo regala al lettore affranto e appesantito veri momenti di freschezza, quasi leggerezza, pur nelle situazioni di pericolo che vivrà. Useppe è una mosca bianca in un mare di indifferenza: ipersensibile, molto intuitivo, molto fragile, e per questo bisognoso di cure. Il suo sguardo verso gli orrori del mondo è una finestra limpida, in cui tutto si riflette. Il tocco di Elsa Morante sulla sua figura raggiunge con lui momenti di grandissima intensità, indescrivibili.
Un altro personaggio, cui è dedicato ampio spazio, è quello di Carlo Vivaldi alias Davide Segre, che fa quasi da contraltare agli altri. La sua figura, tormentata fino al midollo, dà voce ad un’altra categoria di esseri umani. Definirlo solo ebreo sarebbe riduttivo: Davide è un uomo che sente tutto, sente le ingiustizie abbattersi sugli altri, sente l’impotenza di non poterle combattere, sente la contraddizione della vita, che dà tanto ma tanto toglie. Le parti più “politiche” del romanzo sono lasciate pronunciare proprio a lui.
Un capitolo a parte, sul quale ci sarebbe molto da dire, è il contesto che fa da sfondo a La Storia. La Roma della guerra è una Roma impoverita, defraudata della sua stessa essenza: se resiste strenuamente nei primi anni, cercando di mostrarsi incurante delle bombe che potrebbero esplodere e ancora tardano ad arrivare nei quartieri popolari, viene prosciugata nell’incalzare della battaglia, incapace di sfamare il suo stesso popolo. È una città che vive e respira con affanno, che respira polvere e cade a pezzi ma in qualche modo resiste anche ai nazisti e alla loro guerra. Raramente mi sono imbattuta in una più autentica caratterizzazione geografica come qui.
L’impatto emotivo che La Storia di Elsa Morante ha avuto è incredibile, come una bomba ad orologeria che sta per esplodere e travolgere tutto. È un libro devastante.
Giovanna Nappi