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Edward Hopper, pittore del silenzio di Sergio Rossi e Giovanni Scarduelli

La vita interiore di un uomo è un regno vasto e variegato e non riguarda solo dei piacevoli accordi di colore, forma e disegno.

Come si disegna un silenzio, un vuoto, un sentimento?

Quanto può essere complicato dare forma e consistenza a qualcosa che è per definizione intangibile?

A questa e a molte altre domande ha risposto il pittore americano Edward Hopper con la sua arte. E a raccontarci come sia arrivato a dipingere e partorire le sue opere ci pensano la narrazione di Sergio Rossi e i disegni di Giovanni Scarduelli nel nuovo graphic edito Centauria Edward Hopper, pittore del silenzio che va ad unirsi ai titoli dedicati ad alcuni degli artisti che più hanno influenzato l’arte dell’ultimo secolo (qui il link a un articolo che parla dei volumi già pubblicati https://www.illibraio.it/graphic-novel-arte-centauria-1127907/).

Il graphic, diviso in cinque parti, è costruito come un lungo dialogo tra l’autore e Jo Nivison, sua unica moglie, che conobbe e sposò a quarant’anni, con la quale non ebbe figli e che rinunciò alla sua carriera di pittrice solo per sostenere quella del marito. Un rapporto profondo fatto di amore ma anche di recriminazioni costanti, nocivo e provante, per usare un eufemismo.

Si parte dagli anni in cui nasce la passione di Hopper, quelli in cui copiava i disegni di Gustavo Dorè e studiava per corrispondenza fino alla formazione alla New York School of Arts diretta da William Merritt Chase. Qui conosce alcuni di quelli che diventeranno poi artisti americani di straordinario successo e rilievo: George Bellows, Rockwell Kent per citarne alcuni.

Arrivano poi gli anni dei viaggi in Francia (1906-1910) in cui scopre e ama Marquet, Valotton, Walter Sickert che non smetterà mai di studiare e Courbet che lo influenzerà specialmente per quanto concerne il rapporto dei corpi con lo spazio. Nonostante si sia trovato in Francia a inizio secolo, non è stato mai tentato dalla vita bohémienne; preferiva il teatro, l’osservazione degli edifici storici (è appassionato di architettura). Non ha mai amato l’astrattismo, Kandinskij, Cezanne per lui poco consistente, Picasso…non gli hanno mai suscitato interesse o curiosità.

L’impressionismo francese, l’estremo realismo della fotografia (vi si avvicina contemplando i lavori di Eugène Atget), saranno la forza motrice della sua arte. Compie numerosi viaggi, va in Inghilterra, Berlino, fino a che non arriva l’anno di Soir bleu (1914), opera che verrà esposta e stroncata dalla critica: un omaggio alla Francia mai totalmente compreso che verrà ritrovato solo dopo la morte del pittore (ora esposta al Whitney Museum).

Soir bleu, 1914

Il successo arriverà tardi, dopo anni in cui Hopper si è mantenuto facendo l’illustratore (anni del successo, 1924-1965). Conosce Frank Rehn un gallerista che espone alcuni suoi acquerelli. Da lì parte l’ascesa.

Ma Hopper non è mai pago della sua arte, avrebbe solo voluto dipingere “la luce del sole su una parete di una casa”.

Questo costante sottofondo di malinconia, sogno e insoddisfazione che governa la vita del pittore, viene reso dall’ uso di tavole acquerellate per i disegni che compongono il libro e per i dialoghi, immediati, poco prolissi e precisi, proprio come lo stile di Hopper e proprio come si legge fosse la sua persona.

Nighthawks, 1942

Un graphic che ci svela in modo delicato un Hopper poco noto, i suoi pensieri intimi, i suoi timori e le sue debolezze, accompagnandoci in un percorso di riscoperta di uno dei più grandi esponenti del realismo americano.

Nicole Zoi Gatto

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