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Middlesex

Middlesex, Jeffrey Eugenides

Middlesex è il romanzo che mi ha accompagnato nell’ultimo mese.

Cosa determina l’identità di genere di una persona? Quanto influisce il contesto e l’educazione ricevuta dai primi attimi di vita? Che rapporto si sviluppa tra corpo e mente?

Se rispondere a questi interrogativi sembrerebbe assimilabile a domande come “è nato prima l’uovo o la gallina?”, è anche vero che Middlesex di Jeffrey Eugenides sembra provare a tracciare una strada.

Middlesex

La storia di Calliope Stephanides, poi Cal Stephanides, è probabilmente la summa di una delle questioni più spinose cui abbiamo assistito in epoca contemporanea.

Middlesex pone al centro una storia familiare, verrebbe da suggerire. Una storia che ha radici a Bitinio, villaggio greco situato in Turchia.

Qui ha inizio tutto, quel germe che si materializzerà soltanto cinquant’anni dopo: è qui, in procinto di fuggire dalla propria terra verso gli Stati Uniti d’America, che i fratelli Lefty e Desdemona Stephanides sfidano le “leggi della natura” amandosi e sposandosi.

La narrazione, da questo momento, cambierà coordinate geografiche. Sarà la città di Detroit a fare da sfondo ad una famiglia che pare portare marchiata sul petto la colpa ancestrale, in grado di trapassare silenziosamente le generazioni successive per giungere nelle viscere di Calliope.

Approciandomi a Middlesex, mi sarei aspettata un primo piano su quest* protagonista così differente. E già qui Eugenides sorprende e svia, lasciando a Calliope/Cal il compito di narrare la storia dal principio.

È questo il pretesto narrativo per raccontare la storia dell’immigrazione, della necessità di piegarsi alle dinamiche politiche ed economiche di un Paese, di adeguarsi alla nuova vita e, per farlo, conformarsi al nuovo mondo.

Pur ripercorrendo decenni di storia americana, Eugenides non appesantisce la trama con la descrizione degli avvenimenti. Piuttosto arricchisce la storia della famiglia Stephanides con dettagli legati al contesto in cui vivono e soffrono, fornendo delle coordinate generiche ma sufficienti allo scopo.

In questa prima fase del libro, che potremmo collocare sino alla metà del romanzo, la figura costante di una voce narrante, di cui già conosciamo l’identità, ha un effetto coinvolgente.

Si alternano lunghi momenti del passato, in cui una/un Calliope/Cal non ancora nata/o osserva l’evolversi della storia dei suoi nonni prima e dei suoi genitori poi, a brevissimi momenti del presente, dove l’identità di genere è definita ed è Cal a parlare, non più Calliope.

Può sembrare confusionario. In realtà non lo è. La voce fuori campo che puntualmente interviene sulla pagina è così ben calibrata che non può essere straniante.

Middlesex

Ma poi accade qualcosa.

Dopo lo “scoglio” delle prime trecento pagine, Middlesex diventa un altro libro, come un Vecchio e Nuovo Testamento.

È il momento in cui Calliope nasce e cresce, in cui comincia quel percorso di crescita e consapevolezza che la condurrà alla definizione di se stessa.

Da questo punto, inizia una fase vorticante, di scoperta del proprio corpo e di quello altrui, di non accettazione di sé.

Le vicende di Calliope, il disagio provato per un’inadeguatezza che percepisce come reale solo perché contrapposta alla presunta normalità degli altri, rendono la lettura un vortice da cui si viene risucchiati.

Se Middlesex ha vinto il Pulitzer per la Narrativa nel 2003, non sorprende. È un romanzo che spinge a riflettere sul ruolo che assumiamo nella società, che ci viene imposto e da cui scegliamo di sottrarci.

Un antico detto cinese recita: “Il battito delle ali di una farfalla in Cina può influire sul percorso di un uragano nell’Atlantico”.

Se Desdemona e Lefty non avessero sbattuto le proprie ali in Turchia, le sorti di Calliope nel continente americano avrebbero preso una piega diversa. Ma non avremmo avuto quel meraviglioso romanzo che è Middlesex.

Giovanna Nappi

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