Megan Nolan è nata nel 1990 a Waterford, in Irlanda. Ha esordito con Atti di sottomissione, libro pubblicato in Italia nel 2021 dalla casa editrice NN nella traduzione di Tiziana Lo Porto e attualmente candidato al premio Strega europeo.
Una candidatura che non sorprende chi ha avuto tra le mani questo volume («this extremely impressive first novel», come scrive la giornalista Lara Feigel su «The Guardian»): la desperation del titolo originale dice già molto delle sorti di questa giovane protagonista, di cui leggiamo le esperienze del periodo compreso tra 2012 e 2014, interrotte dalla narrazione che farà di sé stessa alcuni anni dopo, nel 2019.
Nolan dà in pasto al lettore un memoir: una caratteristica, questa, che non altera in alcun modo la percezione claustrofobica, oppressiva, ambigua e deviante che il libro possiede per sua stessa natura, indipendentemente dal fatto che possa riferirsi a eventi di pura finzione o alla vita della sua autrice. Nella Dublino calpestata dalla famelica giovane protagonista, accade ciò che spesso accade: una ragazza incontra un ragazzo. Ma, come recita un film di ormai più di dieci anni fa, «This is not a love story» (500 Days of Summer).
La prima volta che l’ho visto, mi ha fatto una gran pena. Mi guardavo in giro alla ricerca di qualcosa da bere, avevo sete, ed è lì che è cominciato tutto.
L’incontro con Ciarian fa breccia in un’esistenza che, da qualunque prospettiva la si guardi, è grottesca. Ma già nella mia scelta di questo aggettivo – grottesco – c’è un implicito giudizio che non mi appartiene razionalmente e che pure è venuto fuori. Questa ragazza conduce, su sua stessa ammissione, due vite: una pubblica, in cui la socialità la fa da padrona; una più privata (più sordida), scandita da momenti di insostenibile solitudine e auto-forzature. Questa vita dissoluta, in cui ricerca rapporti sessuali a ogni costo come forma di legittimazione personale e in cui l’alterazione alcolica dà quello sdoppiamento necessario alla sopravvivenza, questa incredibile onestà, di cui tutto il libro è pieno, mette chi legge sulla difensiva (Com’è possibile che non se ne vergogni? Ma anche: Quanto vorrei essere padrona di me stessa a tal punto da dire pubblicamente ciò che penso, ciò che sono).
In un simile contesto emotivo, imbevuto dall’alcool e dal sesso occasionale, l’arrivo di Ciarian rappresenta il diverso, l’occasione per riscattarsi, perché quella solitudine sia meno conturbante, invasiva, alienante.
Come molte storie di abuso, anche quella di Nolan si sviluppa a partire da un uomo anaffettivo, talvolta crudele, che la ignora nei momenti in cui lei desidererebbe conforto e le ricorda quanto sia inutile. I comportamenti di Ciarian però non inficiano in alcun modo il desiderio di portare avanti la relazione:
Non riuscivo a stare da sola e, dato che sapevo che era un segno di debolezza, mi costringevo a provarci il più a lungo possibile prima di cedere, anche se a volte pensavo di impazzire. Quando stavo con gli altri mi sentivo vera. Era questo il motivo per cui volevo essere innamorata. Quando ami, non hai bisogno della costante presenza fisica dell’amato per sentirmi vera. È l’amore in sé a sostenere e dare valore ai momenti penosi che altrimenti sprecheresti esercitandoti a essere una persona, camminando avanti e indietro nel tuo appartamento di merda, aspettando che si facciano le sette per aprire il vino.
Questa lucidità, che raggiungerà nel corso del romanzo livelli esasperanti, è uno dei fattori che sposterà l’asticella del livello di sopportazione – di sottomissione – sempre più in alto. Presunti tradimenti, comportamenti passivo-aggressivi, totali mancanze diventeranno a poco a poco parte integrante del rapporto, addirittura una forma speciale di conferma e di conforto sentimentale che intimamente sente di non poter avere in maniera diversa da quella che Ciarian le concede.
E come riappropriarsi di sé stessa, come sentirsi bene se non aggrappandosi all’altro, dipendendo da lui e permettendo che faccia e disfi come vuole?
Sebbene il vortice di sofferenza non lasci spazio a nessuna salvezza, Nolan non sosta mai in sbrodolamenti compassionevoli – «fa parte dell’orrore dell’essere genericamente feriti»: chi soffre, per il solo fatto di soffrire, non è migliore degli altri, non merita particolari riguardi, né tantomeno aspetta una bonaria pacca sulla spalla.
La sconcertante verità è che la sofferenza chiama sofferenza e chi la vive così profondamente desidera viverla perché non conosce altro modo di esistere. Non è masochismo: la protagonista, ben consapevole di essere in balia di Ciarian e dei suoi umori, si costringe ad accettare perché, da manipolata, pensa di manipolare, parzialmente riuscendoci. Inizia a infilarsi quindi in un circolo vizioso in cui la smania di non compromettere una relazione già marcia dall’inizio giustifica la catena di menzogne da cui sarà travolta: una spirale di degradazione di cui proprio lei, vittima sacrificale, è l’artefice.
Risalire alle radici di questa serie di comportamenti autolesionisti e pieni di autoinganni implica sciogliere il nodo dei traumi del passato, degli episodi di violenza subita, dei problemi alimentari, della dipendenza dall’ipersessualità. Farlo, per questa giovane donna, comprometterebbe però la costruzione precaria su cui è seduta. Sarebbe troppo rischioso.
Per questo, ad esempio, minimizza un episodio così devastante come lo stupro come qualcosa che è possibile tenere separato da tutto il resto, una linea da tracciare al centro – da un lato lo stupro, dall’altra il sesso. Anche l’atto sessuale in sé diventa la ricerca di una nuova forma di sottomissione: il tentativo di lasciarsi plasmare, carne contro carne, dall’uomo, senza alcuna volontà di ricercare emancipazione e indipendenza.
Un profondo senso di precarietà si frappone tra lei e la vita: anche il gesto più quotidiano è rivelatore di non detti. L’insicurezza si mischia alla rielaborazione del dolore e al tentativo, sempre vano, di ribadire la propria identità in contrapposizione alle altre persone, alla sé stessa del passato, all’ideale di relazione.
Ciò che rende unica la narrazione di Megan Nolan non è tanto la verità nuda e cruda, scomoda, che propone; è il disvelamento dei lati oscuri dell’animo umano, è la sovrapposizione tra ruolo di vittima e di carnefice, è l’affermazione di esistere incedendo nell’errore.
Giovanna Nappi