Bestiario Parentale di Francesca Manfredi è il secondo volume del progetto di Effequ, Elettra, una serie in cui le figlie raccontano i padri. Attraverso il mito di Elettra si narra la subordinazione, “un amore che è anche e soprattutto devozione verso un uomo-dio cui la figlia deve la sua stessa vita, e con il quale desidera idealmente ricongiungersi”. In Bestiario Parentale di Francesca Manfredi però si parla di un “contromito: quello del padre assente”. L’autrice descrive suo padre come l’uomo delle soluzioni pratiche applicate a problemi astratti, mentre la madre come colei che trova soluzioni pratiche a problemi pratici. Francesca Manfredi è vissuta in una famiglia matriarcale, dove gli uomini erano accessori e le donne detenevano il potere.
Alla controparte femminile della mia famiglia ho sempre invidiato l’indipendenza. Utilizzando un concetto piuttosto dibattuto, per anni ho sostenuto di essere cresciuta in una famiglia matriarcale. A cominciare da una questione numerica: i componenti di sesso femminile erano – sono – in maggioranza. Autorità genitoriale, gestione domestica e attività economiche erano indubbiamente detenute da loro, nella maggioranza o nella totalità. Solo successivamente ho iniziato a capire che tutto quello che mi sembrava rispondere a un equilibrio e a un ordine naturale, e nel quale trovavo perfino un motivo di vanto, conteneva in sé un prezzo decisamente alto.
Francesca Manfredi non è cresciuta quindi in una famiglia tradizionale, era suo padre a portarla in giro col passeggino da bambina mentre la madre era al lavoro. Sempre suo padre ha sofferto il distacco quando dopo la separazione, non ha potuto più vederla ogni giorno, non ha potuto più sperimentare quella simbiosi che si era creata.
Ma il Bestiario Parentale della Manfredi non è solo uno scorcio sulla sua vita e sul suo rapporto col padre, ma è anche un manifesto che si interroga sulle disparità tra uomo e donna sulle questioni genitoriali. Il genere maschile viene proclamato come privilegiato, ed effettivamente lo è, in moltissime situazioni.
La gravidanza forzatamente femminile mi sembrava qualcosa di profondamente ingiusto. Mi sembrava ingiusto quello che, a livello parentale, ne conseguiva: la cura dei figli destinata alle donne, intere generazioni di esseri umani cresciute, nel migliore dei casi, conoscendo i loro padri a metà. Mi sembrava ingiusta la società e mi sembrava ingiusta la biologia.
Il padre diventa quella figura mitologica che appare e scompare, dedita al lavoro e a portare i soldi in famiglia, che non si avvicina ai figli. Ma chi ha stabilito che non si possa condividere la genitorialità equamente? La nostra società è così patriarcale da non vedere la necessità di un cambiamento. Ad esempio, in nord Europa il congedo parentale è equo tra uomo e donna, mentre in Italia è a favore della donna, l’uomo ha solo una settimana a disposizione.
Attraverso tre intensi capitoli che prendono, non a caso, il nome di tre animali, Leoni, Api e Ippocampi, Francesca Manfredi indaga il rapporto con suo padre e in generale il rapporto che una figlia ha con il padre e con la figura maschile. E lo fa con un punto di vista fresco e nuovo, con gli occhi di una ragazza cresciuta “in un branco di sole femmine, abituate a provvedere per sé”.
Questa accessorietà maschile a cui siamo abituati da sempre è un’involuzione che bisogna necessariamente combattere. Sia per alleggerire il carico dato alle madri, sia per rendere paritario e completo il rapporto di un padre.
Un’accessorietà che per millenni ha rappresentato un vantaggio, una libertà: l’ennesima superiorità dell’uomo, indipendente e assolto dai vincoli familiari, sulla donna, definita una volta e per sempre dalla maternità. Eppure adesso, forse per la prima volta nella storia, dove una serie sterminata di figlie e figli definiti dall’assenza paterna inizia a rendersi conto dell’entità di questa voragine, comincia a prendere il sapore di una disfatta. Lo considero un piccolo, parzialissimo, passo avanti.
Ilaria Amoruso