L’ascesa dei movimenti populisti in Europa così come in America Latina e negli Stati Uniti, non è altro che lo specchio di quella che, senza alcun tipo di timore, possiamo definire crisi della democrazia. Quello che avviene in ogni parte del mondo -da anni ormai- non è altro che un proliferare di falsità sotto forma di notizie date da giornali, post di simpatizzanti di una fazione o dell’altra, atte a provocare in chi legge sentimenti che vanno dalla rabbia al rancore, al vero e proprio odio. I populismi si nutrono di tutto questo e, facendo leva sulla paura, minano la stabilità delle istituzioni democratiche dando via libera all’ instaurarsi di governi guidati da demagoghi.
Nel suo primo libro La morte della verità edito Solferino, il premio Pulitzer Michiko Kakutani (book critic dal 1983 al 2017 del The New York Times), si interroga sul valore che assume la verità in una società che sembra non riuscire più a distinguere il vero dal verosimile o dal falso.
A fronte di una bibliografia ricca che offre numerosi spunti di approfondimento al lettore più curioso e avvezzo ad approfondire tematiche legate alla politica e al suo linguaggio, l’opera risulta divisa in nove sezioni di agevole lettura, che riescono a sviscerare punto per punto il tema centrale dell’analisi della Kakutani, riportato anche nel titolo dai lei scelto: com’è morta la verità e soprattutto chi sia stato ad ucciderla.
Come l’autrice ricorda nell’introduzione al volume, Hannah Arendt nel suo Le origini del totalitarismo scriveva: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione (cioè la realtà dell’esperienza), fra vero e falso (cioè i criteri di pensiero) non esiste più”.
Ecco quanto la manipolazione del linguaggio risulta essere fattore determinante per portare la ragione e la politica ad essere messe in crisi e la realtà a essere distorta.
La Kakutani ricostruisce con chiarezza accademica e precisione, i processi sociali e culturali, il crescente screditamento riservato alla scienza e alle autorità, che hanno creato terreno fertile per la presa di potere in America, di un presidente autoreferenziale ed egocentrico.
Donald J. Trump, quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, non fa che dare il suo contributo giornalmente, raccontando le sue verità. Il Washington Post ha individuato 2140 affermazioni false nel suo primo anno di mandato, il New York Times aggiorna costantemente il numero di bugie da lui pronunciate e i suoi collaboratori seguono alacremente la sua scia.
Non è un problema da poco. I cosiddetti fatti alternativi che spesso i collaboratori di Trump utilizzano per sostenere le sue idee anche nel momento in cui non ci sono sostegni fattuali alle sue convinzioni, creano una frattura nella realtà oggettiva e la ridefiniscono. Come la Kakutani giustamente afferma, lo stile di vita trumpiano è legato alla menzogna in quanto unico mezzo nelle sue mani per ottenere consenso. Le fake news dilaganti, sono strumenti che permettono di modificare gli assetti politici globali (vedi l’operazione della Russia nelle ultime elezioni Americane con la creazione di falsi profili di americani estremisti che propagandavano odio razziale).
Gli esempi da lei citati sono plurimi esattamente come gli autori che nel corso dello scorso secolo hanno messo in guardia circa i pericoli del populismo dilagante; troviamo Orwell che con i suoi saggi e in 1984 si mostrava preoccupato circa la possibilità di riscrittura del passato, Huxley che temeva la verità potesse essere risucchiata da una sovrabbondanza di informazioni divenute, quasi nella loro totalità, irrilevanti, Wallace che fu uno dei primi a svelare come il decostruzionismo, l’ipersoggettivismo e l’ironia postmodernista fossero velenosi per la società, nonché linguisti e intellettuali.
Ma come può un personaggio tanto narcisista, esagerato, misogino, bugiardo aver attuato da solo una rivoluzione nel modo in cui la realtà viene osservata e raccontata? Non l’ha fatto, o meglio non è l’unico responsabile.
Il cambiamento in cui ci troviamo a vivere oggi, seguendo il ragionamento della Kakutani, nasce da quella che è stata definita “cultura del narcisismo” o “ascesa della soggettività” che parte negli anni Settanta del Novecento e arriva fino ai giorni nostri.
questo abbraccio della soggettività si è unito alla svalutazione della verità oggettiva: la celebrazione dell’opinione rispetto alla conoscenza, dei sentimenti rispetto ai fatti, uno sviluppo che ha contribuito all’ascesa di Trump.
A questo proposito la critica porta tre esempi: le dichiarazioni false circa la stessa ricchezza di Trump, la risposta fatta alla domanda circa l’interferenza russa nelle elezioni americane del 2016 (“credo che la sua sensazione -riferito a Putin- sia che né lui né la Russia abbiano influenzato le elezioni”) e infine le dichiarazioni circa la situazione della criminalità in America, ovviamente esagerate e mendaci.
Ma la parte che più mi ha convinta è quella sulla cooptazione del linguaggio.
Il linguaggio è per gli uomini, come l’acqua per le piante: vitale, necessario, fondamentale.
ecco perché Orwell scrisse che ‘il caos politico è legato alla decadenza del linguaggio’, alla separazione fra parole e significati e all’aprirsi di uno iato fra gli scopi dichiarati di un leader e quelli reali.
Il modo dei leader populisti attuali di avvicinarsi a chi governano utilizzando il loro linguaggio, quello semplice, quotidiano, ha come scopo quello di controllare anche come i propri elettori ragionano, pensano, si esprimono.
Esempi di ridefinizione della lingua sono presenti nel regime cinese di Mao, dove fu creato un nuovo vocabolario politico, nella Germania del Terzo Reich dove termini come ‘fanatismo’ assumevano significati opposti a quelli originari; tutti pericoli esposti da Orwell nel già nominato 1984.
Questo della Kakutani è un libro essenziale: non ci si può difendere dalle minacce se non si è preparati; riconoscere, comprendere e soprattutto analizzare i fatti con l’occhio vigile e attento, ci rende liberi e mai vittime inconsapevoli.
Citando Jefferson:
aprire le porte della verità e rafforzare l’abitudine di passare tutto al vaglio della ragione siano le pastoie più efficaci con cui possiamo incatenare le mani dei nostri successori, per impedire che essi incatenino il popolo con il suo stesso consenso.
Nicole Zoi Gatto