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Postporno e stereotipi

Postporno e stereotipi

Di cosa parliamo quando parliamo di postporno e stereotipi.

In un episodio di Dietland, ad un certo punto la protagonista, Prugna, realizza finalmente che l’ambizione maggiore cui ha sempre aspirato, denigrando il proprio corpo e sottoponendosi a diete e digiuni, è in realtà fallace.

Comprende, cioè, che la trasformazione che desidererebbe per il proprio corpo, l’immagine che vorrebbe riflessa allo specchio – cioè di donna magra e desiderabile – altro non è che la proiezione della sfera maschile ed eteronormativa.

È l’uomo che ha imposto quel modello, talmente inglobato nell’immaginario collettivo da essere diventato il modello dominante, appunto, anche per le donne.

La protagonista arriva a questa conclusione dalla visione di una serie di video porno, che rappresentano forse la summa simbolica del processo di cui sto parlando.

Mi è venuta in mente questa scena leggendo il libro di Valentine aka Fluida Wolf Post Porno. Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali, in cui si riflette sul ruolo della visione dominante in un ambiente, quello della pornografia, che ha eretto su questi ‘valori’ la propria ragion d’essere.

Postoporno

Il concetto stesso di Postporno sfugge dalle tradizionali definizioni: nasce piuttosto dall’esigenza “degl* stess* protagonist* di narrarsi dall’interno, raccontando il proprio corpo e i propri desideri, sfuggendo qualsiasi etichetta e rivendicando l’essenza anticapitalista della postpornografia”.

L’obiettivo, in questo testo, è quindi quello di invitare al superamento degli stereotipi per una forma più inclusiva dei corpi e del piacere sessuale.

Riprendendo le parole de La Fra nell’articolo Perché ci piace il postporno, si legge:

«È proprio questo immaginario sessuale [ovvero quello proposto da Playboy, in cui l’uomo ricco e potente è circondato dalle sue conigliette docili e asservite], che ha popolato le fantasie degli uomini per decenni, ad aver contribuito alla costruzione di un modello sociale fortemente eteronormativo, ossia di imposizione della eterosessualità come norma, dove la divisione tra il maschile e il femminile era stabilita e rappresentata da corpi esasperatamente sessualizzati e da ruoli ben definiti.»

Questo significa che l’oggettivazione della donna nell’industria pornografica, concepita da uomini per il piacere di altri uomini, va superata. Ma in che modo?

Un’opzione, come ci ricorda l’autrice, è quella proposta da Ellen Willis, che si contrappose ai movimenti femministi censori che l’avevano preceduta e, nel 1981, parlò di femminismo “prosex”: un sentimento di libertà e rivendicazione nell’ambito del lavoro sessuale ma non solo.

Se l’industria pornografica spettacolarizza la disparità di genere, è anche vero che tutti gli ambiti sono più o meno teatro di sopraffazioni di questo.

Riflessioni come questa non possono e non devono esaurirsi al mondo della pornografia. Ogni ambito umano dovrebbe liberarsi della tradizionale contrapposizione dell’uomo prevaricatore e della donna succube e tener conto di un ventaglio di sfaccettature che sono molto più reali dei codici sociali che da sempre ci vengono proposti/imposti.

Un ulteriore link mi è stato offerto dalla mia attuale lettura in corso. L’argomento qui si materializza nel personaggio di Calliope, o Cal, o Callie, in Middlesex. Calliope sfugge alla tradizionale categorizzazione di femmina e maschio, uomo e donna.

«Con me non poteva ancora dirlo. Aveva ricevuto i risultati degli esami endocrinologici fati all’Henry Ford Hospital e perciò conosceva la mia analisi cromosomica, era al corrente degli alti livelli di testosterone nel plasma e del fatto che nel mio sangue era assente il deidrotestosterone. 

In altre parole, ancora prima di vedermi, il dottor Luce poteva avanzare la ragionevole ipotesi che io fossi uno pseudoermafrodito maschio: maschio dal punto di vista genetico ma apparentemente femmina, con una sindrome da carenza di 5-alfa-riduttase. In base alle sue teorie ciò non significava che io avessi un’identità di genere maschile.

«Il fatto che fossi adolescente non faceva che complicare le cose. Oltre ai fattori cromosomici ormonali, Luce doveva considerare il sesso in cui ero stata cresciuta, cioè femminile.»

Scardinare un sistema non è impresa semplice, è una battaglia quotidiana che può sembrare impossibile e tuttavia necessaria perché ogni persona sia in grado di riconoscersi nell’immagine che la società propone.

Il primo passo è quello di indagare lo status quo per riconoscere, innanzitutto, gli schemi di pensiero a cui siamo abituati. Soltanto prendendo coscienza di determinate dinamiche è possibile superarle.

Giovanna Nappi

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